LIBERTA’ D’ESPRESSIONE E LE CONTRADDIZIONI DELLA DEMOCRAZIA

Articolo pubblicato sul quotidiano "RINASCITA” il 23/04/2009
http://www.rinascita.eu/


Venerdì 17 aprile dell’anno in corso, Rinascita ha riportato le dichiarazioni di Horst Mahler, ex membro della Rote Armee Fraktion e dell’ NPD, incarcerato per aver negato la realtà storica dell’Olocausto. Questa notizia, unita ai recenti fatti che hanno riguardato Jean Marie Le Pen, - che ha definito le camere a gas “dettaglio della storia della seconda guerra mondiale” - e soprattutto alle dichiarazioni “negazioniste” rilasciate dal monsignor Williamson qualche mese fa, ci spingono ad alcune considerazioni. Tali considerazioni non concernono l’esperienza personale di Mahler, né le preoccupazioni che scuotono i parlamentari europei circa la possibilità di vedere il rappresentante del Front National presiedere la seduta di inaugurazione dell’Europarlamento dopo le prossime elezioni europee; tantomeno, riguardano il cataclisma ‘teologico’ che le parole del vescovo revisionista hanno causato all’interno del Magistero cattolico tra ‘conciliaristi’ e ‘tradizionalisti’. Fuori dalle nostre riflessioni si situano anche le svianti analisi circa i rapporti di buon vicinato tra la Santa Sede e il mondo ebraico e le conseguenti e sterili speculazioni sul presunto antisemitismo che coverebbe - secondo le accuse degli ebrei - negli anfratti della chiesa scismatica lefebvriana, a causa della millenaria accusa che vuole il popolo ebreo responsabile del deicidio. Problematiche sicuramente interessanti da analizzare, queste, ma che potrebbero risultare fuorvianti in questa sede: per prima cosa, perchè il revisionismo olocaustico, più comunemente e volgarmente noto come “negazionismo”, non ha niente a che vedere con le dispute teologiche; in secondo luogo – e questo è il punto più importante – perché il revisionismo non ha niente da spartire con l’antisemitismo: questo, nonostante le esternazioni degli intellettuali e dei gazzettieri di regime sul delicato argomento ci abbiano fatto credere il contrario. Su quest’ultimo punto, liberato dalle diatribe teologiche di cui sopra, torneremo più avanti, perché, come vedremo, la (dis) informazione mediatica, nella sua presunzione epistemologica, fa cattivo gioco: far coincidere il revisionismo con l’antisemitismo si rivela, infatti, un valido e subdolo espediente affinché ciò che è ricerca storica venga recepito dalle masse come un dogma politico-ideologico. Tutto ciò, attraverso un fazioso sillogismo secondo il quale, poiché il revisionismo nega l’esistenza delle camere a gas è per forza di cose antisemita; e siccome l’antisemitismo fu strettamente connesso al nazionalsocialismo, il revisionismo è necessariamente nazista. Ergo, poiché il nazismo rappresenterebbe il male assoluto, il revisionismo altro non sarebbe che un’ ideologia del male e come tale i revisionisti non dovrebbero avere diritto di parola. Ma questo è il punto: il revisionismo non è un’“ideologia” e non ha una bandiera politica sotto la quale nascondersi: trattasi, bensì, di una indagine storiografica che, piaccia o no, mette in discussione, attraverso una ricerca storico-scientifica, l’esistenza delle camere a gas.

Nella nostra analisi, prenderemo come riferimento principale il vescovo lefebvriano e non il sopracitato Le Pen: questo, perché le dichiarazioni del leader dell’estrema destra francese non appaiono propriamente “negazioniste”, dal momento che sostenere che le “camere a gas sono state un dettaglio della storia della seconda guerra mondiale”, significa affermarne la realtà storica: cosa, questa, che si pone al di fuori delle convinzioni dei revisionisti e che ha a che fare con valutazioni personali assolutamente non scientifiche e appartenenti, quindi, alla sfera emozionale di chi le ha espresse.

Williamson, al contrario, espone le sue convinzioni sulla scia della ricerca revisionista. Il vescovo incriminato è nel giusto quando - nell’intervista rilasciata in un canale di una tv svedese - sostenne che “la verità storica si attiene alle prove e non alle emozioni”.

Sull’onda dell’emotività, però, agiscono i media quando il tema da trattare è il revisionismo; e sulla stessa anomala onda agisce la storiografia ufficiale, la quale, invece di demolire le tesi dei revisionisti con delle controprove efficienti, demanda al Tribunale della nuova Inquisizione il compito di far tacere gli ‘eretici’ del XXI secolo, dimostrando, così, di non avere argomenti per sostenere il confronto dialettico.
Non si può negare che impedire a degli storici il diritto di esternare i risultati di una ricerca storico-scientifica, oltre ad essere un atto liberticida, risulta essere anche estremamente contradditorio in un sistema, quello attuale, che si proclama democratico e liberale. Infatti, riguardo il nostro paese - in cui, rispetto ad altre nazioni europee, negare l’olocausto non costituisce ancora reato, anche se qualche politico ( Mastella) tempo addietro ne propose l’incriminazione - l’articolo 21 della costituzione dice che Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Se ciò non bastasse, l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sostiene che Chiunque ha il diritto alla libertà d'opinione e d'espressione; il che implica il diritto di non essere turbato a causa delle sue opinioni e quello di cercare, ricevere e diffondere, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee attraverso qualunque mezzo di comunicazione ». Articoli, questi, che appaiono continuamente violati dalla repressione moral- democratica che pure, su tali postulati, dichiara di basarsi: ciò, a dimostrazione che l’ordinamento democratico, nel momento in cui impone il bavaglio della censura, appare come un sistema intrinsecamente contradditorio e ipocrita. E, si badi bene, non si parla, qui, di una repressione per ‘difesa’, pena la salvaguardia della democrazia da un eventuale pericolo che se non estirpato ne minerebbe la propria stessa esistenza (un discorso che si potrebbe applicare, per esempio, nel caso della presenza di un’eventuale organizzazione eversiva mirante a scardinare o a rovesciare con un atto violento la democrazia: è chiaro che, in questo caso, se la repressione democratica non intervenisse, ci troveremmo di fronte ad un sistema autodistruttivo). Qui il discorso è un altro: stiamo parlando di violazione della libertà di espressione applicata ai risultati di una ricerca storica: censura che mal si addice ad un sistema che si proclama liberaldemocratico.
Se ci trovassimo in uno Stato totalitario, biasimevole o meno, il problema della libertà di pensiero, da un punto di vista logico, non si porrebbe: infatti, nel suo essere, negando la libertà d’espressione, il totalitarismo non è in contraddizione con se stesso, in quanto i presupposti da cui parte vengono mantenuti.
Prendiamo l’assunto ‘totalitario’ di Carl Schmitt, secondo cui “non c’è Stato normale che non sia totale”: ebbene, potremmo pure essere in disappunto con tale postulato ma, nel caso di una eventuale restrizione della libertà di espressione dettata dall’esigenza di annullare sovversive “lacerazioni pluralistiche”, non potremmo trovare una contraddizione intrinseca in un siffatto sistema che su quelle tesi, appunto, si fonda. Lo si potrà definire aberrante e ingiusto, ma non ipocrita, in quanto le conseguenze derivano logicamente dalle premesse. Al contrario, un sistema democratico che si basa su assunti “liberali”, ma che attua un regime di censura facendo così cadere il velo di Maya dietro il quale si nasconde la sua vera natura, lo definiremo ipocrita in quanto tradisce i presupposti su cui si basa e, proprio per questo motivo, aberrante.
Proprio per non apparire illiberale e in conflitto logico con se stesso, il sistema escogita l’inganno e, attraverso i media, l’identificazione del revisionismo con l’antisemitismo riesce a provocare la ripulsa morale delle masse, primo passo per giustificare il ricorso alla censura senza l’imbarazzo di apparire censori: nel caso in esame, la procedura inquisitrice sarà quella di negare al revisionismo la sua vera identità - che è quella di ricerca storica - per tramutarla in un bieco odio ideologico e politico avente per emblema lo ‘swastika’ e la ‘mezzaluna’ .
Ci troviamo, a ben vedere, di fronte ad una ulteriore violazione della libertà di pensiero, portata avanti, tramite una volontà di disinformazione, ai danni della pubblica opinione: cos’altro è, altrimenti, il condizionamento delle menti attraverso i canali delle informazione distorta, se non una violazione della libertà di poter discernere il vero dal falso?
Nell’editoriale apparso su Il corriere della Sera del 27 gennaio scorso, intitolato L’intollerabile, Pier Luigi Battista estrae dal cilindro tutto l’armamentario “illusionista” che ben si presta a tale scopo: premettendo che, se c’è qualcosa di ‘intollerabile’, questa è proprio la banale faziosità dell’editorialista in questione, sbalordisce la capacità di Battista di legare il revisionismo storico all’attuale geopolitica ( medio oriente ), ai sentimenti anti ebraici del mondo islamico e al mondo ‘neonazista’ . E così, il “negazionismo” non sarebbe più e solamente un’opinione personale di una “congrega minoritaria di lunatici” e una “fandonia che rivendica il rango di contro storia”, come il Battista sentenzia all’inizio dell’articolo, bensì, si sarebbe trasformata in una “poderosa macchina simbolica e ideologica che, contestando lo sterminio degli ebrei di ieri, mette violentemente in discussione il diritto alla sopravvivenza degli ebrei di oggi”. A far da testimone alla presunta veridicità della tesi in questione, sarebbe il legame che intercorre tra il presidente iraniano Ahmadinejad - il quale ospitò a Teheran una conferenza revisionista e il cui nome è una garanzia di cieca follia per l’Occidente anestetizzato dalla logica mondialista – e l’odio antiebraico. Solo questo, secondo Battista, basta per avanzare l’ipotesi di una “logica che connette la cancellazione dell’Olocausto al progetto di annichilire la presenza degli ebrei e di Israele che è la loro casa” e della “distruzione dello Stato di Israele”.
Certo, come un po’ a tutti, neanche a Battista piace essere accusato di essere poco liberale: ecco perché il nostro è pronto a precisare che il bavaglio è “sempre ingiusto e sempre a rischio di derive illiberali”. Peccato che qualche riga prima, si dissertasse su come il “negazionismo (…) non è un’opinione privata o un terreno su cui possa esercitarsi un legittimo diritto di espressione a proposito di una controversa pagina della storia”.
Si giri come si vuole, ma a quanto pare e nonostante ci si sforzi di apparire liberal, gli “Ehichmann di carta” (sic) e i loro testi, definiti a priori “impregnati di pregiudizi maniacali e di incontenibile odio antisemita”, non dovrebbero avere spazio in quel dibattito culturale – atto a scongiurare la “guerra di sterminio antiebraico” - che pur il Battista invoca chiamando in causa Pierre Vidal Naquet e la sua presunta vittoria nei confronti dei “negazionisti”, dei loro “pseudo argomenti” e delle loro “bugie”. Per quanto mi è dato sapere, il “dibattito culturale”, per essere realmente un dibattito, avrebbe bisogno di un confronto dialettico tra opinioni opposte: cosa, questa, che non avviene mai e che non ha bisogno di un commento, il quale, se espresso, non potrebbe essere che impietoso…. Da qualche parte , ricordai che nel lontano 1933, qualcuno esortava gli studenti al rogo dei libri. Fatto storico, questo, che ancora fa rabbrividire i “democratici”. Misi in evidenza, però, come oltre al risparmio dei fiammiferi, la differenza che passa tra bruciare i libri o vietare la circolazione degli stessi e delle idee in essi espresse è pressoché inesistente…
Intanto, sappiamo che il “famigerato” monsignore ha ricevuto – subito dopo le sue scomode dichiarazioni - l’ordine dalle autorità di lasciare l’Argentina. La scusa? “Irregolarità nella sua documentazione”: tutto chiaro! La fandonia liberale, a quanto pare, non è ancora finita, così come non è conclusa la nuova e forzata ‘diaspora revisionista’ verso una terra creata dai “democratici” e chiamata Intollerabile.

Ignazio Mele
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1-Pier Luigi Battista, L’Intollerabile, in Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2009.

2- Ignazio Mele, Evola, Freda, Norimberga. Lettera di un laureato intorno ad una tesi evoliana, in Margini-“Letture e riletture”, n° 56, ottobre 2006.




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